La notte tra il 22 e il 23 aprile 1934 fu attivato l’esercizio sulla nuova linea Direttissima tra Bologna e Prato, inaugurata la mattina dal Re Vittorio Emanuele III con il Ministro delle Comunicazioni Umberto Puppini.
La Direttissima dell’Appennino lungo le valli dei fiumi Setta e Bisenzio con la Grande Galleria di 18, 5 km sotto l’Appennino fu un passo fondamentale per il potenziamento delle comunicazioni tra il Nord Italia e il Meridione, che fu compiuto nell’arco di un lustro con l’elettrificazione e la riqualificazione infrastrutturale di tutta la dorsale da Chiasso a Reggio Calabria in cinque grandi fasi funzionali: il 28 0ttobre 1934 da Napoli a Salerno, il 28 ottobre 1935 tra Firenze, Roma e Napoli, il 21 aprile 1937 da Salerno a Reggio Calabria, il 14 novembre 1938 tra Bologna e Milano, per concludersi il 28 ottobre 1939 a Chiasso. A restituire la portata storica dell’attivazione della Direttissima dell’Appennino, oltre all’aumento della potenzialità, è il confronto tra i tempi di percorrenza: fino al 22 aprile 1934 il Rapido 29 di sui 131 km della Bologna-Firenze, via Porretta, impiegava 156 minuti, mentre dal giorno successivo lungo i 97 km via Vernio ne sarebbero bastati 66!
Per superare i pesanti vincoli della linea tra Bologna e Firenze, via Porretta – Pistoia, risalente al 1864 con il suo tracciato sinuoso in pendenza del 25-26‰, lungo un itinerario voluto per motivi militari dall’Austria, furono redatti vari progetti alternativi. Tra questi fu apprezzato quello iniziato, prima della sua scomparsa, dall’ingegner Protche -progettista della vecchia Porrettana- che proponeva un tracciato lungo le valli dei fiumi Setta e Bisenzio con una lunga galleria sotto l’Appennino per abbassare la quota di valico.
La costruzione della nuova linea fu approvata nel 1908 con la Legge n° 444 del 12 luglio e dopo la stesura del progetto esecutivo con la quota di valico a 322 m s.l.m. i lavori iniziarono nel 1913 per la costruzione delle ferrovie di servizio a scartamento ridotto, che ricalcando il tracciato della nuova ferrovia avrebbero trasportato i materiali occorrenti per la sua costruzione fino agli imbocchi della galleria di valico. A causa della Prima guerra mondiale la perforazione della Grande Galleria dell’Appennino di 18,5 km -seconda come lunghezza solo a quella del Sempione- iniziò nel 1920 e ben presto per accelerare i tempi fu decise di aprire un terzo fronte a metà del percorso, dove era prevista la Stazione di Precedenze, calando nelle viscere della montagna uomini, attrezzature e materiali tramite due pozzi inclinati di 27° da Cà di Landino nel comune di Castiglione dei Pepoli, dove furono realizzati un villaggio per i minatori e la stazione terminale della teleferica di 8,9 chilometri per il trasporto dei materiali occorrenti che arrivavano con la ferrovia di servizio a Lagaro.
Terminato il rivestimento e le opere accessorie, la nuova linea da Bologna a Prato di 80,6 km fu disponibile per il preesercizio nel 1933. Consentiva la velocità massima di 120 km/h sul versante emiliano e aveva curve con raggio minimo di 600 m sul versante toscano e di 800 m su quello emiliano, pendenze massime dell’8‰ in galleria e del 12 ‰ all’aperto. Le caratteristiche che ne facevano una ferrovia di avanguardia erano:
· l’armamento pesante costituito da rotaie da 50,6 kg/m, lunghe 18 metri;
· il distanziamento dei treni con il blocco automatico;
· gli apparati centrali elettrici per il comando degli enti nei piazzali delle stazioni, che erano tutte dotate di sottopassaggi;
· l’esercizio con Dirigente Centrale dalla sede di Bologna;
· l’elettrificazione in corrente continua a 3000 V assicurata da cinque sottostazioni.
La spesa sostenuta per la sua costruzione fu di un miliardo e 122 milioni di Lire, 460 milioni delle quali impiegate per la Grande Galleria dell’Appennino. Qui c’era l’impianto caratterizzante della Direttissima: la Stazione delle Precedenze a 267 metri di profondità nella montagna, dove non era previsto il servizio viaggiatori. Posta a metà della Grande Galleria, era un Posto di Movimento che serviva per le precedenze, dato che tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro vi era una distanza di 20 km. Infatti, dal camerone, dove vi erano l’ufficio del Capostazione e i locali tecnici, si dipartivano due gallerie con andamento curvilineo a binario unico, collegate ai binari di corsa con una lunghezza utile di 448 metri, in grado di ricoverare treni merci di 45 carri a due assi. Precedenze fu presenziata fino al 1968, quando l’attivazione del Controllo del Traffico Centralizzato dal Dirigente Centrale Operativo di Bologna, ne permise l’esercizio in telecomando, preludio alla banalizzazione dei due binari di corsa tra S. Benedetto Sambro e Vernio -esteso poi a tutta la linea- e alla soppressione dei due binari di precedenza divenuti insufficienti per i treni merci moderni con carri a carrelli, cosicché Precedenze è stata trasformata in un Posto di Comunicazione con scambi per il passaggio da un binario di corsa all’altro.
Forse nessun’altra linea italiana ha incarnato come lei la storia ferroviaria e civile del Paese con i suoi pregi e i suoi lati oscuri; ciò è dipeso dalle sue caratteristiche e probabilmente anche dalla sua posizione nel cuore della penisola a ridosso di Bologna, il più importante nodo ferroviario italiano.
Nel 1937, dopo quattro anni in cui i treni erano trainati dalle moderne locomotive E 428, il 22 maggio 1937 fu la volta degli innovativi elettrotreni ETR 200 che con la coppia di rapidi Roma -Bologna e viceversa ridussero i tempi di percorrenza a 55 minuti, alla media commerciale di 107 km/h, grazie alla velocità massima di 140 km/h loro consentita su alcuni tratti della linea; una prestazione che fu ulteriormente migliorata poichè nel 1939 gli R 524 e 528 tra Firenze e Bologna impiegavano 51 minuti ad una media di 114 km/h.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’impegnativa opera di ricostruzione iniziata dai genieri alleati e italiani fin dall’autunno 1944, avrebbe riportato i treni già nell’estate del 1945 e gli ETR 200 con la prima coppia di rapidi fin da agosto del 1946. Negli anni ’50 sarebbe scoccata l’ora del Settebello, della “Freccia del Vesuvio”, sempre con gli ETR 200 affiancati in seguito dall’elettrotreno Arlecchino, e delle potenti e veloci E 646 con il “Treno Azzurro” Milano-Napoli.
I treni della Direttissima tra Bologna, Prato e Firenze hanno accompagnato quella dell’Italia operosa del dopoguerra e in seguito quella inquietante del dissesto idrogeologico con il deragliamento della “Freccia della Laguna” e degli anni di piombo con i vili attentati, non a caso pianificati all’interno della lunga galleria, al Direttissimo Italicus la notte tra il 3 e il 4 agosto 1974, e al Rapido 904 il 23 dicembre 1984, oltre alla spaventosa strage alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980: un oltraggio all’Italia che guardava al futuro incarnata negli Espressi “Conca d’oro”, “Freccia del Sud” e 1588-89 tra Venezia e la Sicilia con il loro carico di speranze e nostalgie che attraversavano la penisola attraverso la Grande Galleria dell’Appennino.
Dopo i Treni Bandiera con le E 444 e le carrozze Gran Conforto, l’ultimo grande capitolo dell’esercizio ha di nuovo come protagonisti gli elettrotreni con i Pendolino a cominciare dal 1988 e gli ETR 500, in servizio Eurostar dall’estate 1997 per approdare ai Frecciarossa nell’ambito di quella che nel 2008 è diventata “la metropolitana d’Italia”, dato che fino al 12 dicembre 2009, per un anno sulle rampe del 12‰ della Direttissima transitarono gli ETR 500 e i Pendolino in servizio sulla grande “Y” dell’alta velocità tra Salerno e Milano/Torino, in attesa dell’attivazione della Firenze-Bologna AV il 13 dicembre 2009. A questo punto la “vecchia” Bologna-Firenze si è specializzata nel traffico regionale e merci, salvo rientrare in gioco come itinerario alternativo nel caso di emergenze improvvise sulla linea AV.
A cura di Angelo Nascimbene – Fonte: Fondazione FS Italiane