La descrizione su come migliorare il modello ACME del carro FDIz, ha suscitato curiosità sui veicoli veri, nei visitatori del sito e con queste brevi note vogliamo quindi darne qualche notizia in più.
E’ chiaro come la marcatura letterale originale (FDIz) indicasse come fossero insieme “carri coperti” e “bagagliai” dotati di intercomunicanti (I) e carrelli (z). Questa loro caratteristica deriva dalle specifiche dettate per la loro costruzione che, lo ripetiamo, utilizzava telai e carrelli di veicoli già appartenuti alla Rete Mediterranea e alla Rete Adriatica ovvero pervenuti all’Italia come bottino della Grande Guerra. Videro la luce assai in fretta all’inizio degli anni Trenta perché costituivano la risposta alla necessità di velocizzare l’inoltro del collettame mediante lo smistamento e il riordino dei colli direttamente sul treno e non negli impianti di terra. Originariamente, infatti, questi carri-bagagliaio venivano caricati sommariamente e, mentre il treno era già in viaggio, una squadra di addetti provvedeva a trasferire i pacchi e pacchetti (ma anche giornali, paste alimentari, filati, farine, cereali, frutta secca, pneumatici, scatolami, dolci, saponi, stoviglie, biciclette, tessuti, sedie, pezzi di ricambio per macchinari, damigiane, bauli, strumenti musicali, ecc., tutti racchiusi anche in ceste, cestini, fustini, barili e casse) sui restanti carri che avrebbero continuato il viaggio in composizioni ad altri treni, ovvero a raggruppare la merce destinata ad una stessa destinazione. Il carro fungeva da centrale di smistamento in movimento a cui non erano concessi “fronzoli” o dotazioni confortevoli: quattro posti a sedere tipo III classe, appenda dietro il vestibolo d’ingresso e una angusta ritirata erano quel che bastava al personale, oltre al riscaldamento a vapore e, per le esigenze del servizio, l’illuminazione elettrica fornita dalle batterie alloggiate sotto il telaio. Il resto del carro era occupato dal vano di carico la cui superficie variava dai 40 a 46 m2 in dipendenza della variegata origine dei telai e la capacitò di carica era altrettanto diversa (dai 21 alle 34 ton). I carrelli AA o AB o AM che, pian piano sostituirono quelli di origine, consentivano velocità di 65 o 75 Km/h, più che sufficiente per i treni merci merci, ma che ne precludeva l’utilizzo con treni passeggeri impostati a velocità superiori. Nel dopoguerra, tuttavia, la velocità leggermente superiore a quella di numerosi carri merci a due assi, consentì loro di comporre treni omogenei – dove comparivano anche i carri FDIa ottenuti accoppiando in maniera permanente due carri tipo FI) – specializzati al trasporto celere di collettame o merce specifica come i fiori coi treni che percorrevano la linea costiera ligure nei primi anni Settanta al traino di una E.636 o di una E.424.
Tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo, taluni adottarono la marcature unificata internazionale come Hack-y e, con questa, una serie di 100 veicoli furono dotati anche della condotta REC. Nel 1971 un terzo del loro numero non risultava più in servizio, con esemplari che in qualche caso erano stati adibiti a deposito materiali e officina negli impianti dove stazionavano. Il dilagare di furgoni e autocarri di massa contenuta atti a svolgere gli stessi servizi su strada ne decretò l’inutilità sulle grandi direttrici e finirono per assolvere compiti più modesti nelle linee secondarie dove però non mancarono delle eccezioni di rilievo. Proprio in Toscana, sull’itinerario Firenze-Empoli-Siena-Chiusi entravano in composizione con treni diretti trainati da una D.342. Attualmente risultano tutti demoliti, salvo gli esemplari salvati per scopi museali, taluni anche atti a circolare.
Fausto Condello
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Bellissimo articolo