Tra i modelli esteticamente meglio riusciti della Lima figura il modello della locomotiva E. 444, significativamente nella sua versione originale, prima del suo revamping (R). Non è un caso, infatti, che le due versioni, storica e R, siano migrate nella produzione Hornby-Rivarossi senza sostanziali modifiche se non quelle legate al cablaggio elettrico e alla motorizzazione e ad alcuni particolari minori. Con una base siffatta con alcuni interventi mirati di miglioramento (carrelli ribassati con riportate le sabbiere e i cavi alle boccole, corrimani condotte dell’aria, REC e pantografi) figura dignitosamente accanto a modelli di altre ditte che, più di recente, ne hanno proposto versioni al passo coi tempi (Roco e ACME).
La versione originale del modello – il cui profilo aggressivo ed elegante rappresenta uno dei migliori esempi del disign ferroviario italiano del dopoguerra – si presta ad un interessante elaborazione, eseguita utilizzando un apposito kit messo in commercio da Claudio Mussinatto, per realizzare uno dei due esemplare delle Tartarughe elettroniche a Shunt-chopper (E. 444 056 o E. 444 057) che, insieme alla E 444.005 a Full-chopper, negli anni Settanta servirono per saggiare le potenzialità dell’elettronica di potenza applicata alla trazione ferroviaria e approntare il progetto di quella che saranno le E. 633/632. Per inciso, terminati gli esperimenti, le due macchine furono riconvertite ad equipaggiamento normale nel 1981.
Per realizzare uno dei due modelli (io ho scelto la E. 444 056 e l’elaborazione è stata fatta prima prima dell’uscita dell’omologo modello ACME) sono partito, appunto, da un modello Lima senza “baffo rosso”, ma va bene qualsiasi altro modello, anche della versione HRR. Alcuni interventi di miglioramento sono adatti anche per le macchine “normali” (e difatti, finita la 056 con altro modello Lima in mio possesso ho perfezionato anche la 066) quali quelli alla parte bassa con l’abbassamento del carrello per allineare i cuscinetti con i centri delle ruote, aggiungervi le sabbiere e i cavi provenienti dalle boccole, separarli dalla sospensione secondaria che va posta sul telaio – come nella realtà – realizzando un supporto di alloggio, ulteriori cavi di equipaggiamento per le apparecchiature; ovvero alla carrozzeria il rifacimento dei corrimani con filo d’acciaio da 0,4 mm di diametro, dove quelli della cabina sono sorretti, come al vero, da supporti e non inseriti piegati nella plastica, le cornici ai finestrini, nuovi vetri frontali, i tergicristalli raffinati, nuove condotte dell’aria e del freno moderabile in scala, predellini alle porte, nuovo REC di dimensioni adatte (ViTrains) con vero cavo elettrico da 0,6 mm e posizionato più basso come normale nell’epoca d’ambientazione della macchina. Le ghiere dei fanali sono quelle dell’E. 636 Roco.
L’elaborazione più consistente, che va ovviamente eseguita prima delle raffinatezze appena dette, è all’imperiale dove la parte degli sfogatoi deve essere tagliata e spianata per alloggiarvi quelli del kit, composto da una porzione in metallo bianco della stressa foggia delle macchine normali ma più corto e da due pacchi di reostati che vanno assemblati come si vede in figura. Per questi particolari, alcune parti sono state fatte diversamente da quanto suggerito nelle istruzioni del kit per aumentare la raffinatezza.
Terminata l’elaborazione della carrozzeria e prima del montaggio di tutte le parti minute già dette, il modello è stato completamente riverniciato con vernici Puravest, realizzando anche il baffo rosso in dotazione alle macchine nel periodo. Il modello finito è equipaggiato con pantografi tipo 52FS di Mario di Fabio, vi sono applicate targhe fotoincise, è stato digitalizzato con un decoder Uhlenbrock 76 420 e rifinito con una leggera sporcatura.
Fausto Condello